L’energia di Bennato accende De Ferrari
«Forti emozioni a cavallo dell’11 settembre»

Il cantante napoletano chiude il trio dei grandi ospiti. Tra l’ironia e il sarcasmo delle sue canzonette, un rock impegnato che trae linfa dalle nuove generazioni. L’intervista al cantante di Bagnoli che ricorda anche il tragico decennale 

L'intervista a Edoardo Bennato - Foto di Mimmo Giordano
È l’ultimo dei grandi ospiti a salire sul palco, pronto ad attirare l’attenzione dei genovesi con il suo entusiasmo e il suo rock incessante. Appena terminate le prove sul palco di piazza De Ferrari, Edoardo Bennato ha risposto alle nostre domande, in compagnia dell’inseparabile chitarra acustica.

Genova e Napoli, un binomio non solo musicale che anche quest’anno la notte Bianca ripropone. Che connessioni ci sono tra la tua Bagnoli e i vicoli del nostro centro storico?
«Innanzitutto l’aspetto morfologico, sia Genova che Napoli hanno una struttura collinare che digrada verso il mare. Ma c’è una grande differenza che si radica nella storia: Genova ha un passato nel triangolo economico che ha trainato la rinascita del dopoguerra, Napoli invece ha patito nei secoli l’atteggiamento di diffidenza nei confronti delle istituzioni retaggio di una storia di dominazioni straniere. Un disagio che in 150 anni di unità d’Italia non è stata superata. Molti invece sono gli aspetti in comune dal punto di vista musicale: Genova e Napoli hanno fatto la storia della musica italiana. Napoli con le influenze del rock americano nel dopoguerra, Genova grazie ai contatti con i grandi cantautori francesi».

A proposito dei 150 anni dell’unità d’Italia, nella tua “Italiani” dice che ci sentiamo tutti “fortunatamente italiani”. È così vero anche nell’attuale contesto politico, economico e sociale?
«Questa canzone è una provocazione. Con tono polemico invito a decidere quale bandiera dobbiamo sventolare: quella tutta rossa, quella tutta verde o quella bianca, rossa e verde? Tra l’altro è preceduta da un’altra “canzonetta”, “C’era un re”, che dà una lettura ironica, sarcastica, molto feroce della nascita dell’Italia. Prendo di mira i luoghi comuni, i pregiudizi nel tentativo di smuovere i condizionamenti dei giochi politici che ci rendono incapaci di osservare il mondo da un altro punto di vista».

Che fine ha fatto la ragazza di “È lei” che nata in un paese lontano dovrebbe salvare il mondo? Non è che si è per caso persa cercando “L’isola che non c’è”?
«”L’isola che non c’è” è sicuramente un’utopia. È la riproposizione del concetto di Thomas Moore della necessità di ciascuno di noi di porsi un obiettivo e raggiungerlo al di là delle illusioni e dei condizionamenti. La ragazza di “È lei” viene dal terzo mondo perché è implicito che l’energia non possa altro che arrivare da lì in questo momento. La capacità di essere positivi e propositivi arriva proprio da chi vive nel disagio, perché l’indole positiva arriva dalla affetto da cui uno è circondato al momento della nascita e che è sarà in grado di restituire da grande. Se cresci nel mondo freddo, da adulto riesci solo a sprigionare odio e veleno».

Quale è il segreto per riuscire a catturare ancora i giovani, dopo tanti anni di rock?
«Siamo convinti di quello che facciamo, ci piace la musica del 2011. Non guardiamo al passato ma al futuro. Il nostro obiettivo quando saliamo sul palco è attingere a nuove energie. E poi fondamentali sono i testi, di grande attualità. Stasera, ad esempio, il concerto sarà particolarmente emotivo perché suoneremo a cavallo dell’11 settembre. Le mie “canzonette” hanno sempre avuto queste implicazioni emotive: mi ricordo proprio che l’11 settembre del 2001 il sindaco di Cagliari ci lasciò suonare perché disse che il nostro tipo di concerto non era in contrasto con la tragedia che aveva vissuto l’umanità qualche ora prima».
Genova, 11 settembre 2011
Ultimo aggiornamento: 12/09/2011
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