Il servizio sociale genovese e i minori
Una panoramica per la VII Commissione

I servizi per i minori sono grande parte dell’attività sociale del Comune, che si occupa di 8 bambini e ragazzi su 100. Il ruolo degli operatori pubblici e del Privato Sociale. I rapporti con la Sanità e con il Tribunale. Un sistema molto articolato

Testo Alternativo
Anna Rosa Bruzzone, dirigente del Settore Politiche Sociali, e Liana Burlando, che nel settore si occupa di innovazione e di regolamentazione dei servizi, si alternano al microfono della Commissione Welfare, presieduta da Cristina Lodi con la partecipazione dell’assessore competente, Paola Dameri, per fornire ai commissari una visione per quanto possibile completa del complesso sistema che la città di Genova dedica alla cura dei minori.


Qualche cifra

Si tratta di una delle attività più rilevanti di tutto il servizio sociale, che comporta, oltre a una spesa molto elevata, un grande impiego di personale pubblico e del privato sociale. Quasi la metà dei circa 150 assistenti sociali attivi (escludendo cioè gli assenti per aspettativa o per maternità, quelli cioè che pur essendo in organico attualmente non lavorano) si dedica ai minori. Mediamente ogni operatore segue 60 – 70 famiglie con uno o più figli.
Si arriva così alla cifra di circa 7.000 giovanissimi assistiti, cioè più dell’8 per cento del totale, che si colloca intorno agli 84 mila, dei minori genovesi. Un bambino, un ragazzo ogni 12. La Valpolcevera detiene il record con il 13 per cento dei minori seguiti dal servizio sociale: più di uno su 8.

Per fare qualche confronto: gi anziani assistiti sono circa il 5 per cento, uno su 20. I residenti assistiti sono il 3,7 per cento della popolazione complessiva, uno ogni 27.



L’accesso pubblico

Il Welfare del Comune è un sistema ad accesso pubblico. Genova continua a mantenere questa impostazione, mentre tanti altri Comuni, grandi e piccoli, hanno optato per una completa delega ai privati.
L’accesso pubblico è, per il Comune di Genova, un valore da difendere e da mantenere. Significa che gli assistenti sociali, gli psicologi e gli educatori professionali del Comune hanno la responsabilità di curare l’accesso ai servizi, di redigere un progetto personalizzato e di mantenere i contatti con gli altri enti interessati, che possono essere la Asl, il Tribunale per i Minorenni, l’annessa Procura della Repubblica, le forze di polizia. Oltre a ciò svolgono altre attività sul territorio.

L’organico comunale, per effetto delle varie leggi finanziarie, è sempre più ridotto. Troppi casi da seguire per un operatore comportano scarsa efficacia, monitoraggi meno assidui e precisi del dovuto e di conseguenza percorsi educativi, tra cui anche la permanenza in comunità, che talvolta sono più lunghi di quanto potrebbero essere. In questo modo il risparmio sul personale si traduce alla fine in maggiori costi.



I rapporti con gli altri Enti

Il rapporto con la Asl presenta aspetti problematici: per circa 10 anni il Comune, con psicologi propri, dipendenti o consulenti, ha svolto la funzione di sostegno alle famiglie e di diagnosi psicosociale. In seguito a un decreto della Presidenza del consiglio dei Ministri del 2001, alcuni anni fa l’amministrazione comunale ha preso atto che la Asl detiene le competenze di diagnosi, valutazione psicologica e sostegno. Un percorso sofferto ha portato al “licenziamento” dei consulenti.
Formalmente adesso c’è un lavoro integrato tra l’ente locale e la Asl, ma gli psicologi messi a disposizione dalla Asl sono insufficienti, meno dei pochi che già lavoravano per il Comune, e le sedi dei due servizi non coincidono, per cui l’integrazione è problematica.
Comune e Asl stanno lavorando per superare queste difficoltà. Per il momento si prospetta la messa in campo di 4 o 5 psicologi in più.

Di circa 2.500 dei 7 mila minori seguiti si interessa anche il Tribunale. Tra questi più di 1300 sono “affidati” al servizio sociale. L’affidamento è una limitazione consistente della potestà genitoriale, per cui il giudice affida al servizio pubblico, in tutto o in parte, le funzioni dei genitori.
In questi casi i programmi d’intervento sono molto impegnativi per i servizi territoriali. Purtroppo non sono infrequenti gli allontanamenti coatti dalla famiglia. Si cerca di evitarli; in genere le famiglie collaborano e si riesce a mantenere il minore nel nucleo d’origine, oppure i genitori stessi collaborano perché la sistemazione del figlio in una struttura o presso una famiglia affidataria, accettata come una soluzione necessaria, avvenga nel modo migliore.

Questi risultati ovviamente richiedono un grande lavoro degli operatori sociali. Ma sono stati ugualmente necessari, negli ultimi 2 anni, circa 30 allontanamenti forzati, di cui alcuni multipli, per un totale di 44 figli separati dai genitori.
Le modalità di esecuzione di questi interventi, per cui la presenza delle forze di polizia è necessaria, possono essere particolarmente dolorose per il minore, per le famiglie, per gli operatori sociali e per gli stessi agenti impiegati nel servizio.
Ma, per quanto penoso, l’allontanamento coatto è un istituto necessario ogni volta che sia urgente tutelare il minore da pericoli gravi. Sarà perciò prossimamente firmato, tra il Comune, il Tribunale e la Questura, un protocollo operativo sulle modalità di attuazione di questo importante servizio.


I servizi per i minori e il privato sociale

Si chiama Ats, Ambito Territoriale Sociale, il servizio comunale che, all’interno dei vari Municipi, si occupa dei minori come delle altre categorie di utenti. Ha, come già si è detto, la responsabilità dell’accesso e della gestione dei progetti personalizzati.
L’altra parte del sistema genovese di tutela e protezione dei minori è costituita dai “servizi di supporto” gestiti da enti del terzo settore. Il servizio sociale, a Genova, si basa sull’integrazione tra il pubblico e il privato sociale.

I servizi di supporto si possono suddividere, in base alla funzione, in “sistema diurno” e “sistema residenziale”.

C’è una ricca offerta, sul territorio, di attività diurne, dedicate principalmente ai bambini e ai ragazzi che rimangono in famiglia ma hanno bisogno di un sostegno rilevante.
In ogni Municipio opera un Centro Servizi per Minori e Famiglie, di solito indicato più brevemente come “Centro Servizi”. Gestisce un complesso di attività sul territorio, come per esempio:
− Centri socio educativi (Cse): strutture che danno supporto per la crescita e la socializzazione.
− Centri di aggregazione: ad accesso libero e senza invio dal servizio sociale, hanno come finalità prevalenti il supporto alla socializzazione e la prevenzione del disagio.
− Educativa territoriale o di strada: un servizio che non ha una sede propria, che vede gli educatori recarsi nei luoghi di ritrovo degli adolescenti per comprenderne i bisogni e per proporre loro modalità alternative di aggregazione.
− Comunità diurna: un luogo in cui i figli di genitori assenti tutto il giorno per motivi di lavoro (si pensi alle badanti latino americane) possono avere un buon supporto educativo e occasioni di socializzazione in un ambiente controllato.
− Supporto educativo individualizzato: è l’affido educativo, cioè un educatore che per alcune ore settimanali si occupa del bambino o del ragazzo. Questo servizio a Genova è svolto anche da educatori volontari.

Il sistema residenziale interviene quando è necessario che il minore, per periodi brevi  o lunghi, si allontani dalla famiglia. È costituito perlopiù da comunità educative, che possono essere “residenziali” o “territoriali”.
− Le residenziali sono strutture che hanno le dimensioni di un grande appartamento e che ospitano in genere gruppi di 8-10 ragazzi.
− Le territoriali  sono come le residenziali, ma in più ospitano un gruppo di utenti diurni, come le comunità diurne. Questi ragazzi possono anche essere ospitati temporaneamente per la notte in caso di necessità.

Rientra nel sistema residenziale anche l’Affido Famigliare, un vanto del Comune di Genova dove il servizio è partito nel lontano 1978, mentre la prima legge nazionale in proposito è del 1983.
La nostra città ha il più alto numero di bambini affidati in Italia: sono più di 230.

Gli operatori in questo servizio sono volontari: famiglie e persone singole che offrono accoglienza residenziale o diurna (in questo caso si parla di “affido d’appoggio”). I genitori volontari si sostituiscono o si affiancano, secondo le necessità, alla famiglia d’origine del bambino.
L’affido è a termine: non è perciò una forma di adozione. Gli affidatari affrontano una selezione e devono dimostrare grande apertura, la capacità di accogliere un bambino in grave difficoltà, la capacità di “lasciarlo andare” quando non è più tempo che stia con loro. Come gli operatori degli altri servizi, i genitori affidatari devono saper collaborare con i tecnici che lavorano sul caso e con le famiglie d’origine.

Negli ultimi anni il Comune ha avviato nuove esperienze nel campo dell’affido:
− Affido omoculturale: il minore straniero è affidato a una famiglia della sua stessa origine. È un'esperienza molto positiva, anche se per ora i numeri sono piccoli. Ha il vantaggio secondario di favorire la conoscenza dell’istituto dell’affido tra le famiglie straniere, nuclei che, per le condizioni di vita e di lavoro, possono averne bisogno.
− Affido d’appoggio: in collaborazione con l’associazione Auser, alcuni pensionati si offrono come nonni per l’affido diurno di bambini.

Il sistema residenziale è completato dalla residenzialità leggera per l’autonomia.
I ragazzi seguiti dai servizi hanno spesso bisogno di aiuto anche dopo i 18 anni. Teoricamente il servizio sociale non dovrebbe più occuparsene, ma il percorso di vita può essere molto difficile per ragazzi di quell’età che non abbiano una famiglia alle spalle. Per loro c’è la possibilità di abitare, con un supporto educativo esterno, cioè di operatori non conviventi, in piccoli appartamenti.
È un percorso verso l’indipendenza e verso la corretta gestione di sé e della propria vita.
Genova, 19 novembre 2012
Ultimo aggiornamento: 20/11/2012
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