Detenuti puliscono Bisagno e Staglieno
Accordo fra Comune e direzione carcere

Una squadra di 12 persone opererà nel cimitero monumentale per cinque mesi. Il protocollo d'intesa per favorire il reinserimento e aprire la strada ai lavori socialmente utili illustrato dall'assessore alla Città Sicura Scidone e dal direttore della casa circondariale Mazzeo

Sono in 12, in tuta da lavoro e con una pettorina su cui c'è scritto “Un amico a Staglieno”. Sette italiani, 5  stranieri, hanno dai 25 ai 65 anni e con gli attrezzi da lavoro adatti e da domani lavoreranno tutti i giorni, dal lunedì al sabato, per tenere puliti, in ordine e “in decoro” le gallerie storiche monumentali, i campi trentennali, il campo partigiani e il boschetto irregolare. In comune non hanno solo l'orario di lavoro (7,45-12,45) e la durata del “contratto” (cinque mesi) ma anche il fatto che sono detenuti del carcere di Marassi e il fine pena tra il 2012 e il 2014.
Per questo lavoro percepiranno ognuno una “borsa” di circa 450 euro al mese, con copertura Inail, e non avranno sorveglianza: solo un agente della penitenziaria che li accompagnerà con un mezzo del  carcere e starà con loro per poi riportarli indietro a fine lavoro.
E' il risultato del protocollo d'intesa firmato oggi dal direttore della Casa circondariale, Salvatore Mazzeo, e dall'assessore comunale alla Città sicura Francesco Scidone, al termine di un incontro con la stampa nel corso del quale è stato illustrato l'avvio di un nuovo progetto per il reinserimento dei detenuti attraverso attività lavorative socialmente utili.
In realtà il progetto è iniziato già oggi, con una giornata di lavoro che il gruppo – tutti volontari, ma a ranghi ridotti per tre assenze dovute a permessi e una malattia – ha svolto gratuitamente come risarcimento allo Stato e alle vittime dei reati levando l'erbaccia da un pezzo del greto del Bisagno e qualche metro dell'aiuola che circonda le mura carcerarie «un non luogo – come è stato definito da Scidone – che di solito non viene ripulito né dall'Amiu né dal personale delle carceri».
L'accordo prevede che l'amministrazione penitenziaria pensi al trasporto e all'organizzazione, e il Comune al finanziamento: 40 mila euro che, attraverso la direzione di Marassi, serviranno a retribuire il lavoro e gli oneri connessi; a fornire di carburante la polizia penitenziaria («più di quanta sarà impiegata per questo progetto – precisa Scidone – ma abbiamo voluto dare un segnale di disponibilità e solidarietà al corpo»); e sono serviti ad acquistare il vestiario da lavoro necessario e regolamentare.
«Per il Comune, lo scopo principale – è il commento di Scidone - è quello educativo: chi ha commesso reati e quindi danni alla collettività, ora si presta per lavori socialmente utili. Per noi questo è un primo passo, che è costato mesi di complessa attività preparatoria, irta di difficoltà e adempimenti burocratici. Spero che il ministero della Giustizia si impegni in modo serio su questo terreno, perché le vie per deflazionare le carceri sono di questa natura. E non l'amnistia e gli indulti che riempiono le aule giudiziarie di fascicoli che non servono a nulla, perché dopo poco tempo i detenuti liberati sono di nuovo tutti dentro. Noi saremo molto soddisfatti se dopo il 2012 riusciremo a rinnovare il progetto».
Le difficoltà. Le hanno  spiegate il direttore dei Servizi Civici, Romani e il responsabile di Città Sicura, Cha, che hanno lavorato fianco a fianco con la direzione della Casa circondariale: dagli adempimenti per i trasporti ai provvedimenti del magistrato di sorveglianza, dalla selezione dei detenuti (persone in grado di dare garanzie – le certezze sono un'altra cosa - di un comportamento consono alla situazione alla scelta del vestiario e dei fornitori... Senza contare la decisione sulla finalizzazione del lavoro: si era pensato prima ai parchi pubblici (troppo complicato per gli spostamenti), ai forti, per poi approdare a Staglieno proprio in tempo prima della novena dei defunti, liberando così gli operai del cimitero – che hanno anche problemi di organico - da un compito gravoso come quello delle pulizie e concentrandoli su quelle più proprie delle loro mansioni in modo da garantire un servizio di cui lo storico e monumentale cimitero cittadino ha assoluto bisogno.
«Ritengo molto importante questo progetto - ha detto dal canto suo il direttore Mazzeo – perché sono fermamente convinto che implementare i lavori socialmente utili sia la strada da seguire e mi auguro che con l'assessore Scidone e il Comune di Genova continueremo questa collaborazione con altre iniziative. Ma bisognerebbe che programmi come questi fossero un patrimonio fruibile dalle carceri prima ancora che il detenuto entri in cella. Bisognerebbe evitare di guardare al carcere come la soluzione di tutti i problemi: per i reati di minore entità bisognerebbe fare in modo che il detenuto possa risarcire lo Stato e le vittime attraverso i lavori socialmente utili, cogliendo così diversi obiettivi. Per la società è un investimento: se faccio lavorare un detenuto, non solo lo pago ma creo i presupposti per il suo reinserimento. E' dimostrato che chi usufruisce del regime di semilibertà o di pene alternative delinque di meno rispetto a chi rimane in carcere, che registra una recidiva tre volte superiore. Chi ha già lavorato avrà maggiori probabilità per continuare a farlo senza ricadere nei circuiti criminali».
Poi alcuni dati sull'inferno Marassi, dove appena qualche giorno fa si è verificato l'ultimo suicidio di una lunga serie. Dove le rivolte sono frequenti, dove lo spazio a disposizione di ogni essere umano è ridotto al minimo. Dove non stanno male solo i detenuti ma lo stress accompagna tutti i giorni anche chi deve sorvegliarli in condizioni di assoluto disagio.
«La polizia penitenziaria – racconta Mazzeo - ha le sue esigenze e i suoi malesseri. Su un organico di 300 ne mancano 160. Molti agenti sono di Genova, e molti provengono da altre regioni soprattutto del Meridione. E sono questi che hanno difficoltà a trovare casa, che fanno i pendolari, che vedono le loro famiglie raramente... E, in più, tutti vivono quotidianamente lo stress che deriva da una professione difficile, intramuraria, fra detenuti in sovrannumero, esasperati, che spesso non esitano ad aggredire fisicamente. In quasi 30 anni di servizio non ricordo un periodo di così grande sovraffollamento: in Italia sono 25 mila i detenuti in più, e a Marassi, su una capienza tollerabile di 450 persone, i detenuti sono 800, in un istituto costruito alla fine dell'Ottocento, anche se ristrutturato nel '90, e quindi concepito secondo una filosofia della pena molto diversa dall'attuale, con spazi ridotti, senza luoghi di aggregazione... anche se nonostante questo siamo riusciti a ricavare strutture importanti come la panetteria, la falegnameria dove costruiremo biliardi e biliardini col piano verde; un laboratorio odontotecnico per costruire protesi per i detenuti con   problemi di masticazione; inoltre stampiamo le magliette di Fabrizio De André grazie a una convenzione con la Fondazione gestita da Dori Ghezzi e Bottega Solidale, abbiamo un laboratorio teatrale e il 24 novembre esordiamo con uno spettacolo al Teatro della Tosse...»
Quanto guadagna in media un detenuto che lavora?
«Dipende dal lavoro e dal numero delle ore. I cuochi sono quelli che prendono di più: la paga dovrebbe essere di 600 euro al mese, ma ne prendono un po' di meno. Il problema, fra la carenza di fondi e per il fatto che i detenuti sono il doppio, il lavoro che c'è viene praticamente ripartito fra due pretendenti, e quindi anche la paga non è di conseguenza piena. Generalmente la paga è di 300-350 euro al mese, meno di quello che prende la squadra che è al lavoro a Staglieno. Uno scopino, ad esempio, dovrebbe prendere 400 euro, ma ne prende 250».
Genova, 24 ottobre 2011
Ultimo aggiornamento: 27/10/2011
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