Il disagio giovanile che genera violenza
Nelle bande ora anche gli italiani

Incontro dell'Osservatorio su Comunicazione e giustizia minorile in Liguria: reati penali in diminuzione, le denunce riguardano più gli italiani ( 1.294) degli stranieri (556). Gli interventi del pm Cristina Maggia e del giudice Giuliana Tondina. Il problema della mancanza di strutture di accoglienza e recupero

Incontro sulla giustizia minorile
Violenza gratuita e rabbia; danneggiamenti stupidi contro treni, bus, pensiline, strutture pubbliche; botte e lesioni distribuite senza motivo; rapine compiute non per impossessarsi del bene, ma per il gusto dello sfregio, dell'umiliazione da infliggere all'altro; furti sentiti come “bravate” più che come  mezzo per conquistare qualcosa; spaccio per procurarsi i soldi necessari per bere alcolici; molestie sessuali inferte per recuperare un ruolo di maschio perduto o mai vissuto.

E' la “mappa” del disagio giovanile emersa ieri dal seminario “Giustizia minorile: organizzazione, funzioni, procedimenti”, organizzato dall'Osservatorio su comunicazione e giustizia minorile in Liguria (Dipartimento per la giustizia minorile, Ordine e Associazione dei Giornalisti liguri).
Nel mezzo - tra i comportamenti deviati e la giustizia che cerca di arginare e recuperare i minori - c'è spesso il disfacimento di rapporti familiari, la mancanza di una figura maschile di riferimento, la ricerca nella strada, nelle bande, di un'alternativa affettiva e aggregativa. Con una novità, che riguarda i latinos: se prima le mini-gang erano composte prevalentemente da ecuadoregni e colombiani, oggi è cominciata l'affiliazione di ragazzini italiani e marocchini, fenomeno prima mai visto a Genova.

E in questo quadro si affannano una magistratura sguarnita di personale e di mezzi, una rete di assistenti sociali e di comunità insufficiente e piena di “buchi”, un sistema – insomma – che dovrebbe recuperare il minore e aiutare le famiglie ma spesso non riesce a intervenire in maniera efficace perché vittime di crisi e carenze legislative.

Relatrici ufficiali - nella sala dell'Accademia ligure di scienze e lettere, a palazzo Ducale, strapiena di pubblico (soprattutto educatori e assistenti sociali, pochi i giornalisti) - due esperte della procura dei minori di Genova: il procuratore Cristina Maggia e il giudice Giuliana Tondina, che hanno introdotto il tema tratteggiando innanzitutto il loro ruolo istituzionale e le loro funzioni. Quindi un dibattito spesso acceso e appassionato.

Dal punto di vista giudiziario, i reati penali minorili nell'ultimo anno sono leggermente diminuiti. Dall'1 luglio 2010 al 30 giugno 2011 le denunce giunte alla Procura genovese (che ha competenza regionale e fino a Massa) sono state in totale 1.848 e hanno riguardato in maggior parte italiani: 1.294; 556 dunque gli stranieri. Un dato questo che contrasta con la percezione che potrebbe derivare dai messaggi e dagli allarmi che arrivano spesso da politici in guerra con gli immigrati oppure dalla semplice lettura dei giornali. La microcriminalità giovanile è solo per un terzo “appannaggio” degli stranieri. I reati in aumento più significativi denunciati (che riguardano di più gli italiani) sono i danneggiamenti (+86),  le rapine (+50), le molestie sessuali (+25); in sensibile diminuzione i furti.
In linea di massima, i giovani che finiscono in tribunale hanno studiato, praticano sport, non dimostrano percezione della sofferenza del prossimo, hanno rapporti familiari fragili, difficoltà  soprattutto con i genitori (che spesso cercano di tirarli fuori dai guai difendendoli a spada tratta contro ogni evidenza e manifestando così la loro incapacità educativa), non entrano in empatia con gli altri, quindi sfogano i loro impulsi violenti senza remore.

«Spesso - ha detto il pm Cristina Maggia - noi siamo visti come quelli che strappano i bambini alle famiglie e li affidano agli assistenti sociali. E spesso ci troviamo al centro di polemiche sui giornali alle quali, per la nostra funzione, non possiamo rispondere. Approfitto di questa occasione che per volere dell'Ordine e del sindacato dei giornalisti è anche formativa per la categoria, per sollecitare chi svolge questa professione di farsi consegnare dalle famiglie, quando queste lanciano le loro campagne sottolineando giustamente il proprio punto di vista, i provvedimenti con le motivazioni che stanno alla base delle decisioni della magistratura».

«Il ruolo del giudice minorile – ha ribadito Giuliana Tondina – non è quello di punire, ma di agire in due direzioni: da un lato tutelare i diritti dei bambini e dei ragazzi, dall'altro stimolare le capacità genitoriali per creare le condizioni affinché il nucleo familiare si ricomponga con caratteristiche di equilibrio e stabilità». Nessuno vuole strappare i figli alle famiglie – sostiene la magistratura – e anche quando viene levata la podestà genitoriale, si cerca sempre di garantire la possibilità di un rapporto.

Il problema è piuttosto legato alla mancanza di strutture adatte ad accogliere e rieducare il minore: oggi in Liguria esistono comunità di tipo educativo o terapeutico, ovvero o per tossicodipendenti o per disagiati mentali. Dove in linea di massima un giorno di assistenza costa 130 euro a persona. Ma mancano strutture “trasversali” che prendano in carico ragazzi che manifestano disagi diversi, anche se recentemente, nonostante la carenza di fondi, la Asl 3 a Genova ha aperto un Centro giovani alla Fiumara per chi soffre di alcolismo e un laboratorio di grafica per incentivare l'inserimento dei ragazzi difficili. Ma negli ultimi anni gli assistenti sociali a disposizione del servizio pubblico – così come gli psicologi – sono diminuiti e l'intera struttura (prima queste due figure lavoravano insieme) è stata modificata, rendendo gli interventi meno efficaci.

Per quanto riguarda i ragazzi delle bande latinoamericane, il fenomeno è ben conosciuto dalla Procura: si tratta di ragazzi che molto spesso vengono lasciati in patria da madri che emigrano per mantenere la famiglia e ricevono dall'estero i soldi per mantenersi, per studiare. Generalmente vivono con padri non all'altezza della situazione e con i soldi che ricevono hanno un tenore di vita superiore a quello dei loro coetanei. Dopo 7-8 anni, quando sono già adolescenti, di solito raggiungono la madre ed ecco l'imprevisto: da privilegiati si ritrovano figli di badanti, donne delle pulizie, in fondo alla scala sociale, senza più privilegi né soldi. Ed è qui che scatta la molla: il non riconoscimento dell'autorità materna (spesso si tratta di una donna che non conoscono più nemmeno come figura familiare), la ribellione, la violenza contro il mondo esterno, la ricerca nei propri simili (gli altri ragazzi nelle stesse condizioni) di quell'affetto che credono di aver perduto in una fase che vivono come una sorta di "tradimento" e senza figure maschili forti ed equilibrate a fianco. Ed ecco che quelli della banda diventano i nuovi valori in cui credere: ecco la rivolta, la violenza gratuita, le aggressioni, le rapine. Un fenomeno al suo esordio più sociale che criminale, che determina certo allarme e problemi di sicurezza, ma che necessita di capacità di prevenzione, di strutture adeguate che seguano e sappiano aiutare il minore disagiato, che aiutino il reinserimento familiare dove possibile, per evitare che una ribellione fine a se stessa diventi criminalità professionale.
Genova, 27 ottobre 2011
Ultimo aggiornamento: 15/03/2012
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